Menu

La nuova stagione – Silvia Ballestra . Bompiani

2020/04/30 - Attualità, Biblioteche, Letteratura, Premio Strega 2020 di: MG Colombo
La nuova stagione – Silvia Ballestra . Bompiani

Quando il tempo sfuma la potenziale ferocia dell’interazione famigliare, può capitare che un congiunto, in questo caso una cugina, per bocca e penna di Silvia Ballestra, si incarichi di splancare i portali spazio-temporali del nucleo parentale di riferimento e ne metta in scena il vissuto, che, pur nella sua periferica banalità, diventa emblematico di un’epoca e dei suoi cambiamenti, stante l’apparente immobilità dello sfondo.

E’ quanto accade a Olga e Nadia Gentili, eroine toste di un contemporaneo dramma borghese con aperture alla farsa, in perenne contrasto con madre spendereccia e svagata alla Liuba Andreevna Ranevskaja, strutturalmente incapace di silenzio, e che, non sia mai, senza gli eccessi da grande madre tipo Cathy Ames de La valle dell’Eden, è capace di armare con la sua sprovvedutezza guerre non indifferenti, occasione per gustosi siparietti.

L’estate che le mie cugine vendettero la terra è l’incipit cechoviano de La nuova stagione di Silvia Ballestra, che traccia una genealogia tutta al femminile, con controparte maschile descritta senza sconti, immobile quando non misantropa, reazionaria e opportunista, melliflua e spregiudicata, gretta e dedita ad agrobusinnes, costi quel che costi in termini di depauperamento e sfruttamento ambientale.
Loro, le Gentili, in un quadro intimo e delicato, non privo di risolutezza, vanno a Londra, fanno musica, intrecciano relazioni, imparano l’inglese, macinano delusioni, soffrono abbandoni, innescano rimpianti, tornano a casa.

A casa: cioè in quel francobollo di Marche del sud, tra monte Vettore e mare, inizialmente descritto con bel talento poetico, implicazioni simboliche o, meglio, sibilline, che ben si addicono a luoghi, che se non è Haging Rock poco ci manca, come certificato nell’episodio della sfortunata Gian Carla, vittima, prima che del suo aggressore, di bigottismo e cretinismo.
Una Twailight zone almeno per quanto riguarda devastanti fenomeni tellurici che continuamente sgroppano quelle terre, con effetti disastrosi, parzialmente sfondo della vicenda narrata e che, chi volesse, potrebbe rivivere in rete, nel video amatoriale di alcuni cacciatori di Montegallo, o semplicemente riportando il pensiero al dramma di Rigopiano (18 gennaio 2017).

Capaci di costruirsi riferimenti culturali al di fuori del mondo patriarcale-passatista nel quale sono cresciute, le Gentili riscuotono immediata letteraria simpatia.

Oppresse come Le Signorine di Wilko dal peso astorico della proprietà terriera,  in combattiva pragmatica riscossa davanti ad IMU et similia, ex-mezzadri/mezziladri, più rapaci che in Cechov “nel pur giusto canto epico degli ultimi”, e consci con Pasolini che ” Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”, anzi di più, vien da osservare sulla base del racconto e dell’esperienza, può mistificare la realtà.

Costrette a rapporti burocratici con famelici Consorzi di Bonifica, onnipotenti assessori di molto (im)perscrutabile arbitrio, dispettosità paesane, ottemperanza ai diritti di prelazione dei vicini e,
come se non bastasse, strette tra necessità e rimpianto, ad abbattere e rottamare, con oneri superiori al celebrato giardino dei ciliegi, la piantagione di palme di loro proprietà, attaccata dal Rhynchophorus ferrugineus, sprezzante della loro riconosciuta ma inutile raffinatezza sociale.

Le diverse sezioni del testo sono tenute insieme da un efficace quilting narrativo, che cuce insieme descrittivismo ambientale, fascinazioni mitologiche, intrecciate alla denuncia di un mondo stravolto da egoismi personali, sprezzante di “ottimismo biologico”, orientato verso miti qualunquistici usa e getta, a fronte della parallela resistente cosmogonia delle palme che, pur massacrate, riprendono a gettare foglie.

Beh, Balestra, con estro narrativo capace di fondere paesaggi interiori ed esteriori, cogliere, tra abbandoni e ritorni, poesia e ironia, il perduto istinto collettivo, in garbata contestazione, ti fa venir voglia di farti catara.

 

 

 

  •  
  •  
  •  
  •