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“La regola del silenzio” di e con Robert Redford.

2013/01/14 - Cinema di: MG Colombo
“La regola del silenzio” di e con Robert Redford.

 C’è un giornalista, un ex terrorista, una bambina.

C’era la guerra in Vietnam, Weather Underground, la giovinezza.

Tutto comincia quando, dopo 30 anni di soggezione alla regola del silenzio, una miltante di  Weather Underground, colpevole di rapina e assassinio, ora perfetta housewife, decide di costituirsi.

A cascata, con disastroso effetto domino, l’intero gruppo, che si è ricostruito un’identità, è braccato, per l’intuizione di un giovane ambizioso reporter, che si mette sulle tracce del sedicente avvocato Jim Grant, oggi tenero padre, ieri terrorista.

Sulle tracce di Grant ci si mette anche, con la consueta inconcludente chiassosa concitazione, l’ FBI.

Sulla pista dei thriller politico di successo, Robert Redford sottrae il lavoro ad una banale operazione di washing, con l’ambizione dichiarata di perseguire la verità e “scoprire qualcosa su se stesso“.

Nella concitazione della vicenda e dei colpi di scena, si avvia un’appassionata riflessione sul terrorismo attraverso i temi a lui cari: l’impegno civile, la famiglia, il concetto di responsabilità verso gli uomini e la natura.

Il film, mutuato da un romanzo di Neil Gordon, pubblicato negli USA nel 2003, ripropone personaggi e situazioni già note, con clichée narrativi che possono apparire stereotipi, a meno che non li si voglia considerare omaggi voluti a quel filone di cinema democratico americano, di cui Redford è stato premiatissimo esponente di spicco e che ha avuto come numi tutelari gli amici di sempre Pollack e Pakula.

Shia Labeouf, di giovanile curiosità indomita con umani risvolti carrieristici, è un riuscito epigono di  Bob Woodward e Carl Bernestein, a rappresentare il ruolo della  stampa di qualità, che sa coniugare diritto di informazione a rispetto di valori inalienabili.

Quando i fantasmi del passato tornano a compromettere la sua vita e quella della figlia, il protagonista con tenacia e non pochi equivoci, tenta di ricostruire la verità sui fatti, rintracciando i membri del gruppo fino ad arrivare ad un suo lontano amore e compagna di lotta.

A quel punto il film rischia il collasso con l’ingannevole soluzione dell’incontro con la bellissima (ancora) e irriducibile (ancora) Julie Christie su un lago da favola, set di lontane passioni, occasione imperdibile per rivolgere un tributo alla natura incontaminata e atemporale, must usuale per Redford, ambientalista convinto, leit-motif della sua vicenda professionale e umana.

Invece sfugge alla trappola del melò: niente amplesso di ritorno ma intenso confronto, con serrato drammatico dialogo sul come eravamo e sulla necessaria emancipazione del pensiero attorno ad un sempre vigile rinnovato”conosci te stesso”.

 “Abbiamo sbagliato, ma avevamo ragione!”

La battuta, affidata ad un’intensa Sarandon, condensa in disarmata malinconica riflessione lo spirito del film.

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