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“Ìsura da Filmà”, quando Marco Antonio Pani incontra Fiorenzo Serra

2014/08/17 - Attualità, Cinema di: MG Colombo
“Ìsura da Filmà”, quando Marco Antonio Pani incontra Fiorenzo Serra

Da “Isura da Filmà” di Fiorenzo Serra a
“La Sardegna filmata in libertà” di Marco Antonio Pani
19 Agosto 2014, Cinema Arena Odeon, h 22
Santa Teresa di Gallura

Smonta stereotipi, frantuma certezze preconfezionate,
assesta un duro colpo all’immaginario standardizzato
dei molti turisti e anche-no,
che hanno assistito alla proiezione “La Sardegna filmata in libertà”,
collage montato da Marco Antonio Pani con inediti materiali di Fiorenzo Serra.

pani

Isura da Filmà è un ottimo esempio di filmografia capace di informare e formare,
restituire atmosfere e sollecitare riflessioni sul presente,
afflitto dai danni lasciati dai paperoni dell’imprenditoria d’assalto e/o dagli
sprovveduti dilettanti dell’esotico dietro l’angolo, attenta a indagare il punto di (falsa) partenza dello sviluppo sardo nel dopoguerra.

 Iperreale grammatica antropologica in bianco e nero,
“oltre lo specchio” per dirla con Morin, questa Sardegna perduta e sperduta al bivio della modernità, davanti alle scelte del nuovo non condiviso, rivive grazie al mix di materiali inediti di Fiorenzo Serra, riproposti da Marco Antonio Pani
con filologica cura e antropologico rigore alla Kieslowsky.
.Lontano dalla riprese concertate alla Robert Flaherty,
Serra si bea
delle curiosità degli imbarazzi delle ironie dei suoi soggetti colti dalla sua 16 millimetri nella loro dimessa quotidianità ripetitiva, polverizzata in breve da ingannevoli aspettative di modernità, surrettiziamente veicolata da incombenti tiare e
microfoni al servizio del Potere.

serra2

 A Pani bastano 50 mn di montaggio per rappresentare
l’epica del mondo agropastorale immerso nelle atemporali campagne,
paradiso di macchia e greggi,
le spartane case animate dalle incessanti attività delle donne, un occhio ai bambini per le strade polverose, l’altro alla cura della casa, alla confezione del pane, del vestito della festa, dei dolci, dei cestini, dei tappeti.
Mondo destinato a naufragare in un Campari sorseggiato indolentemente
in piazza d’Italia a Sassari, all’ombra del nascente cementificio di Scala di Giocca,
mentre intorno le strade rimangono sterrate, le case dimesse, i sorrisi perdono spontaneità, e persino quel mare, prossimo a ineluttabile smeraldizzazione, rifugge dalle note patinate immagini e parla solo di fatica abbandono rigore tramutato
in indigenza, come da reiterati certificati sondaggi sociologici.

ragazza

Suggestive ma inquietanti le sequenze finali che vedono retrocedere con lenta inesorabile marcia i protagonisti e gradualmente addirittura perdere
il sorriso che fioriva spontaneo sui visi.
Rinuncia, sdegno, ribellione di una società travolta dal Nuovo non condiviso?
La licenza autoriale è stata spiegata da Pani con il desiderio di riaccompagnare quel Popolo nel silenzio da cui il certosino lavoro degli Studenti del Master per Esperti in gestione, conservazione e restauro di prodotti audiovisivi e multimediali dell’Università di Cagliari li aveva strappati, secondo il lascito dello stesso Serra e dei suoi familiari alla Società Umanitaria.

pani

Il Regista con atteggiamento di sacerdotale rispetto con una ritrosia che gli ha suggerito di lasciare i fotogrammi iniziali segnati da rigature, punti di usura, pittogrammi, coriandoli di luce, in punta di piedi e con il fiato sospeso si incarica di restituire quel Popolo al suo appartato povero Eden, confidando nella forza delle immagini rispetto alle parole.

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Niente didascalie, figuriamoci commenti, solo la musica senza tempo di Paolo Fresu in armoniosa suggestiva corrispondenza emotiva al mondo rappresentato
e affidato alla chitarra di Bebo Ferra,
alla voce di Gavino Murgia, all’Alborada String Quartet, composto da
Anton Berovski, Sonia Peana, Nico Ciricugno e Piero Salvatori


 

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