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Paolo Camiz ovvero affabular saldando

2016/05/08 - Associazione, Attualità, Biblioteche, Mostre di: MG Colombo
Paolo Camiz ovvero affabular saldando

Paradossale giocoliere dell’identità delle cose, deus ex machina di oggetti di scarto di cui coglie la vitalità inesauribile, Paolo Camiz sa allegorizzare il cambiamento con leggerezza ironica ma anche con sottile malinconia, in aperto contrasto con la materica pesantezza dei suoi ingredienti d’obbligo, sottratti con acrobatica forza fisica a discariche, campagne, litorali.
A volte persino in rischiosa competizione con clandestini commercianti di rottami a peso.

Vedasi Sull’onda con quell’imbarcazione destinata ad un Ulisse 2.0, alle prese con l’epica del quotidiano, realizzata con falci strappate al solco della terra, pronte a salpare in vitalistica elegante effervescenza su un mar di mappa, sebben ferroso.

 

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La scultura Alambicco ferito, animata da quella che citando Daniel Spoerri chiameremmo magie à la noix,
rivendica il suo posto in un bestiario postmoderno capace di raccontare la fine della civiltà, la creatività che ci salverà, erogata da quel rubinetto in forma di testa pensante (?!) che ci è parsa la materica metafora dell’assunto stesso della mostra: La Rivolta del Pensiero.

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Adepto di abbandonologia, disciplina recentemente certificata con neologismo da Treccani, c’è in Camiz il rispetto per la primordiale forza della Materia, la sottomissione alla fascinazione dell’object trouvé, incontrato per le strade del mondo, di cui coglie, come l’amato Ettore Colla, la narrazione delle forme che, con energia creativa, trasforma in icona postmoderna.

Nel Porto i cui pezzi, recuperati sul litorale di Ostia e sugli argini del Salzach, liberati in parte e ad arte dall’ossidazione, si sottraggono in simbolica potenza al marchio spazio-temporale e raccontano l’insopprimibile volontà di andare e adattarsi che ci accompagna da sempre.
Oggi più che mai, come da cronache quotidiane.

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Ogni volta che Camiz pesca nel ferroso armamentario del suo laboratorio e lo assembla, sottraendolo all’apocalisse consumistica, rivela il ruolo sociale presupposto del suo lavoro, istituisce con il pubblico un rapporto di forte interazione che va oltre il carattere feticistico degli oggetti e sembra proporre, nella felicità dell’ esito artistico, il principio mutuato da Gilles Deleuze, ma prima ancora da Spinoza, per cui
“Il sentimento della gioia è il sentimento propriamente etico”.

La rivolta del Pensiero
Galleria Angelica
Maggio 2016

 

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