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M&M, ovvero Morante e Moravia in alchemico ménage

2016/12/05 - Attualità, Letteratura di: MG Colombo
M&M, ovvero Morante e Moravia in alchemico ménage

Quando verrai sarò quasi felice, così Alessandra Grandelis ha intitolato la raccolta delle lettere di Moravia a Elsa Morante, cogliendo nel carteggio, tra le altre, una frase che con quel quasi, ben sottolinea la condizione esistenziale ironica anticonformista malinconica dubbiosa di questo borghese per nascita, così profondamente antiborghese nella gestione dei suoi rapporti amorosi, amicali, sociali, politici.

Le 110 lettere raccolte dalla Curatrice consentono la radiografia della vita sentimentale dell’Autore e hanno forza ricapitolativa dei contenuti di celebri romanzi, come L’amore coniugale (1949) e Il disprezzo (1954), consentendo di capire quanta identificazione ci fosse tra l’uomo e i suoi personaggi, che spesso pensano, parlano, si vestono come l’Autore e il suo entourage.

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Ne viene fuori il viaggiatore, l’antiborghese, l’anticonformista: niente di più lontano dall’italiano dipinto da Albinati con gran spreco di pagine.

Difficile dire se e quanto avrebbe fatto piacere ad uno insofferente di ogni laccio della memoria come Moravia, incline a rottamare senza ripensamenti carte e manoscritti, affidando al camino della casa sul Tevere imparziale funzione eliminatoria (officiante Sebastian Schadhauser), veder pubblicati pensieri e pulsioni carichi di materia emotiva per la donna che continuò ad essere come dice in una lettera, con malinconica brillantezza, il suo baricentro.

Personaggio iconico dato l’immediato mondiale successo letterario, la forte partecipazione alle tematiche politiche, Moravia era però riservato per indole e, come ha opportunamente ricordato Debenedetti, anche per necessità, visto la sua parentela con i Rosselli, il suo essere ebreo nel doloroso contesto dell’applicazione delle leggi razziali, il sequestro de La mascherata e il divieto della pubblicazione di Agostino, le forti polemiche con cui i detrattori accompagnarono il suo successo.

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Quasi il canovaccio di un romanzo dedicato ad una donna, la Morante, di acuta sensibilità spesso usata nella coppia per imbarazzare se non ferire, fin dai tempi del’isolamento a Capri, a Fondi, e poi sfoderato sul palcoscenico della Roma intellettualsalottiera con gran eco di stampa.

Insopportabile quanto indispensabile, Elsa Morante solo moglie di Moravia fino al premio Strega, vinto nel 1957 con L’isola di Arturo, viene fuori dal carteggio ora pubblicato in tutta la sua complessità e contraddittorietà, lei testaccina lui altoborghese presi da un inossidabile sortilegio in un rapporto non esattamente dentro la tradizione .

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Innamorata di Visconti, davanti al quale, registra Moravia, le tremavano le ginocchia e arrivava a parlar in milanese, e poi di Bill Morrow per il quale, vinta la sua avversione per i viaggi, gran motivo di scontro e battibecchi, si trasferì a New York, tuttavia non spodestò Moravia dal ruolo preminente che ebbe nella sua vita fino al punto di non concedere il divorzio in puntigliosa presa di posizione, assecondando la dose di irrazionalità che la contraddistinse.

Con l’efficacia linguistica con la quale senza timori reverenziali ha rivoluzionato il romanzo, nel carteggio ora pubblicato da Bompiani, Moravia, per il piacere dei lettori, svela la sua coerenza alla nota affermazione “Scrivo per sapere perché scrivo”.

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Quasi selfies d’antan le due foto Polaroid trovate casualmente in una valigia dalla Curatrice, hanno dominato la presentazione del testo al Teatro Argentina.

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