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Aspettando Cecilia, dall’una alle cinque

2018/03/13 - Letteratura di: MG Colombo
Aspettando Cecilia, dall’una alle cinque

Casa Moravia
Laboratorio di Lettura
diretto da Carola Susani                                                                      


Quattro ore tutte per Dino, per inscenare, con tenace solipsistico ragionamento e nevrotico compiacimento, il teatro dell’abbandono, nel chiuso del suo studio di via Margutta, davanti alla tela bianca e agli oggetti che lo circondano, con i quali non ha nessuna relazione,
come forse le stelle, lontane le une dalle altre, miliardi di anni luce negli spazi siderali”.

Vittima sacrificale Cecilia, cui in una perversa liturgia mercantile di fine rapporto, Dino offrirà una borsa di coccodrillo, acquistata, ovviamente, con il denaro estorto alla segaligna madre.
Il copione del commiato è bello che pronto, “non senza angoscia”, frutto di frustrazioni ed errori, che in altalenante cantilena, alimentano lo scontento del protagonista.
Il format degli incontri si ripeterà conrito monotono”, Cecilia, ormai ridotta ad oggetto, suonerà alla porta e si offrirà “come se veramente mi amasse”, suscitando insofferenza e noia.
Vien da pensare a livello visivo alla dicotomica Vitalità nel negativo nell’arte italiana 1960/70 dei quadri di Schifano.
Accade però che Cecilia non si presenta all’appuntamento, “sconvolgendo” Dino “giacchè “il suo ritardo la faceva diventare qualcosa”  procurandogli “una trafittura al cuore”.
In preda a terribili presentimenti e latente gelosia presente e regressa, Dino ricorda di possedere la chiave dell’appartamento di Balistrieri, suo ignaro termine di paragone, ed entra nel lugubre appartamento dove, in un crescendo di eventi figurati e prefigurati, squilla il telefono, e la sua ansia gli fa credere che al di là del filo ci sia Cecilia.
La quale solo il giorno dopo telefonerà con la solita reticenza/innocenza, che non chiarisce nulla e lascia in subbuglio Dino, personaggio letterario senza certezze e senza neanche la vitalistica ” volontà di potenza” che alla fine sosteneva lo Zeno di Italo Svevo.
Al mattino successivo, Dino,“con un fiuto simile a quello di un cane da caccia”, esce e vede, con una scena di immediatezza cinematografica, Cecilia ai piedi della scalinata di piazza di Spagna con Luciani.
Dino, come se avesse una camera a spalla, le gira intorno, la osserva, la sfiora, ma lei non lo vede.

Deficit di attenzione?
Assimilazione alle “inespressive ed indecifrabili” fanciulle della Ginzburg, che s”embra debbano restare sempre così, senza casa, senza famiglia, senza orari di lavoro, senza niente, personaggi incomunicanti, che non hanno più nemmeno una lingua, una complicità famigliare a legarle”? Astuzia femminile, navigata capacità seduttiva?
Tante le sfaccettature del personaggio.
Dino torna a casa, forte della convinzione che ” con Cecilia non potevo che o annoiarmi o soffrire” e prepara un discorsetto di rottura, con un freddo incipit: “Prima di tutto devo parlarti”.
Ma lei ribalta di nuovo la situazione e, quando finalmente arriva, apre la conversazione con un inaspettato e quasi speculare: “Prima di tutto devo dirti una cosa”.
Con la solita dilatazione verbale inconcludente, si arriva ad una scena dialogata attorno allo spinoso tema della verità. Proprio con Cecilia, musa dell’ineffabile, proprio con lei che “mi sfugge attraverso la menzogna” e con lui, Dino, campione di immaturità e nevrosi capace di sostenere “La desideravo non perchè era nuda ma perchè mentiva”, avvalorando la malevola tesi di Gadda sulle malechiavate del milionario an-ario Moravia (polemica Strega 52).
” Mi faceva desiderare senza un vero desiderio”, Moravia suggerisce a Dino, in un amalgama di pensieri e parole che interrompono qualsiasi concatenazione prevista o prevedibile, facendo emergere dalla pagina una sbilenca riflessione incardinata in una lucido ragionamento.

Ceciia non smette di crescere come personaggio, spiazzare il lettore e sconcertare Dino, che, con un nuovo ribaltamento di posizione, quasi comico, scopre che la sua noia non è poi così elitaria ma appartiene anche a Cecilia: ebbene si, anche lei si annoia, ma in lei la noia pare avere una spinta vitalistica e salutare, che la colloca tra i personaggi indimenticabili della letteratura, in una dimensione mitica, per la sua capacità di “rendere inafferrabile tutto ciò che la riguardava; un po’ come quei personaggi della favola, che non soltanto sono invisibili, ma rendono invisibili le cose che toccano“.

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