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Eleonora d’Arborea, spiegata ai teresini e a “li stragni” da Bianca Pitzorno

2018/07/25 - Attualità, Biblioteche di: MG Colombo
Eleonora d’Arborea, spiegata ai teresini e a “li stragni” da Bianca Pitzorno

Piacevole serata sotto la luna, tra mirti a lentischi, nel sito archeologico di S.Teresa Gallura, Lu Brandali, ad ascoltare Bianca Pitzorno scrittrice, archeologa, storica, paroliera, che ha dedicato ad Eleonora d’Arborea una trentennale attenzione, nata all’università di Cagliari col prof.Lilliu, coltivata nel tempo alla certosina ricerca di documentazione in archivi storici, in chiese e palazzi, custodi di rare testimonianze iconografiche, tra Oristano, Genova, Barcellona.
Ciò nonostante la narrazione del personaggio, la Pitzorno avverte, resta essenzialmente indiziaria e apre alle suggestioni le più varie, in assenza di adeguata documentazione sul privato.
No, non era una Arles sarda, la corte dei De Serra Bas, ma neanche un arcaico regno pastorale di omerica suggestione.
Giudicessa d’Arborea, il suo nome resta legato alla Carta de logu, in vigore con poche modifiche fino al 1827, fondamentale per regolare i vari aspetti della vita civile e le consuetudini rurali della Sardegna, con preciso riguardo allo sconfinamento del bestiame, agli ordinamentos de fogu, che hanno richiamato l’attenzione del numeroso pubblico presente alle norme per prevenire e debellare gli incendi, mentre la Grecia brucia.
Sovrana di uno dei quattro stati/giudicati orgogliosamente autonomi, nei quali era suddivisa la Sardegna nella seconda metà del Trecento, figura determinante per la costruzione dell’identità sarda, è difficile immaginarla dedita alla cura dei figli ( peraltro, come da documentazione, ospiti allevati alla corte catalana),  o intenta a cure francescane per i suoi sudditi perseguitati dalla morte nera, o, ancora, amazzone incolta e barbarica in guerra in prima persona, come già suo padre e suo fratello, sotto la bandiera di Arborea, alla testa delle popolazioni sparse della Sardegna, riunitesi per la prima volta, come nazione, contro gli aragonesi.
Una vera chicca per storici romantici, che non esitarono a farne un personaggio multitasking in grado di legittimare il loro sogno di autonomia e nazionalismo, spietatamente spazzato via dall’Accademia delle Scienze di Berlino, insofferente alla favola della dotta legislatrice nonchè esperta massaia, fine cortigiana e sposa sottomessa, messa in giro nel 1845 da un non meglio identificato frate francescano.
Più facile immaginarla dama cortese, elegantissima, poliglotta, muoversi a suo agio nelle corti più prestigiose dell’Italia del tempo. Se è vero che Genova, pur d’averla tra i suoi concittadini, la esentò dal pagamento delle tasse; se è vero che le doti dei figli, in fiorini d’oro di buon peso, erano tali da sostentare famiglie per decenni.
Antesignana di letteratura up-fit, Bianca Pitzorno da sempre coccola i suoi lettori con limpido spiritoso eloquio ed attenzione costante ai percorsi femminili, in eterna tensione ed evoluzione.
In poche battute accomiatandosi, ha distrutto il luogo comune della fragilità femminile, portando gustosi esempi personali ed epocali sulla capacità delle donne della sua generazione e della sua terra di viaggiare, evolversi.
Sollecitata dalla intervistatrice Pinuccia Sechi, ha infine anticipato il contenuto del suo prossimo libro Il sogno della macchina da cucire, in uscita a settembre per Bompiani.

 

 

Locandina-A3-Rassegna-letteraria-Bianca-Pitzorno-1

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