Ahmad Ghossein, libanese, si smarca dal grand guignol d’ordinanza nella narrazione della contemporaneità bellica e si concentra sull’intimità delle esperienze umane individuali, in balia della realtà storica e politica, tenendo fuori campo, seppur onnipresente, la voce della guerra.
Marwan parte da Beirut durante la guerra del 2006, contendenti Israele e Hezbollah, per recarsi in un villaggio del sud libanese alla ricerca del padre.
Violata la tregua, vivrà da civile, assieme a quattro conoscenti, l’incubo di una segregazione all’interno dello scantinato umido maleodorante privo di qualsiasi comfort dell’unica casa del villaggio non bombardata ma occupata da militari.
Difficile capire inizialmente chi bombarda chi, a sottolineare l’insensatezza del conflitto.
Per Marwan la ricerca del padre diventa ricerca di identità.
Alla fine della proiezione ci si ritrova spiaggiati sull’assurdità del vivere stretti da enfatici interrogativi ontologici e, come l’inerme protagonista, con gli occhi al cielo leopardianamente silenzioso.
