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Francesco Pigliaru domanda Michela Murgia risponde

2013/09/16 - Attualità, Discussioni di: MG Colombo
Francesco Pigliaru domanda Michela Murgia risponde


Francesco Pigliaru
, professore di Economia Politica alla facoltà di Giurisprudenza di Cagliari e già assessore alla Programmazione della giunta Soru, formula ai candidati alla presidenza della regione sarda due richieste precise.

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1) Il Consiglio regionale adotti una legge che preveda finalmente l’obbligo di valutare gli effetti delle principali politiche del prossimo governo regionale.

 Quasi ovvia la risposta affermativa

” Francesco Pigliaru, che è stato uno dei migliori assessori alla programmazione e bilancio che questa regione abbia avuto, sa bene che questo indirizzo presenta però molte complessità. Le prime difficoltà sono di ordine temporale: ci sono politiche che possono essere valutate nell’arco di una legislatura e altre che invece richiedono l’azione di anni.

Per evitare che si differisca anche la responsabilità politica di quelle scelte – chi ha mai risposto del disastro umano, ambientale ed economico dello scempio chiamato Piano di Rinascita? – la pubblica amministrazione in quella stessa legge deve essere obbligata a una progettazione che preveda stadi di verificabilità anche nel breve periodo, esattamente come avviene nel business plan di un’azienda.

Ma in questa logica è nascosta la seconda difficoltà:

non tutte le politiche possono essere verificate con parametri oggettivi su modelli aziendali.

L’esempio che professor Pigliaru porta a proposito dei dirigenti scolastici è proprio uno dei più delicati. Se un dirigente scolastico, a parità di titoli di studio e servizio, dovesse essere valutato dai risultati delle scuole che ha diretto in precedenza, bisognerebbe fare riferimento al cosiddetto modello CIPP – perfetto esempio di logica aziendale applicata a contesti non aziendali – che tra i suoi parametri contempla la percentuale di promossi (e anche la loro media) come fattore di valutazione positiva di una scuola. Basterebbe però partecipare a un certo numero di scrutini finali per rendersi conto che questo parametro apparentemente oggettivo è invece distorsivo dell’autenticità della valutazione: il timore del preside di declassare la scuola può condizionare di molto l’elasticità degli insegnanti nella valutazione, rendendo di fatto la vita più facile agli studenti impreparati. Allo stesso modo non si possono accostare i risultati di dirigenze agite  in contesti con differenze di partenza troppo profonde, come quelle che possono esistere tra la scuola agraria del centro Sardegna e il liceo classico dei figli della borghesia cagliaritana.

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Questo non significa che le verifiche non si possano fare: basta restare consapevoli che quando si ha a che fare con le persone e i loro comportamenti non tutto si può misurare con precisione.

Occorre tenerne conto, perché il fattore umano produce effetti molto rilevanti sull’efficacia di certe scelte amministrative.

Per questo motivo nelle squadre di lavoro dentro il laboratorio politico di Sardegna Possibile non ci sono solo competenze di tipo economico e progettuale che stanno mettendo a punto modelli d’azione misurabili gradualmente nel breve periodo, ma anche sociologi di varie specializzazioni, perché portino nell’elaborazione una sensibilità alla variabile umana che la politica normalmente non manifesta.”

La seconda richiesta è questa:

2) ” La Sardegna partecipi alla stima dei costi standard  che da tempo è in corso per tutte le regioni a statuto ordinario (assurdamente, le regioni a statuto speciale hanno ottenuto di starne fuori). I costi standard forniranno una base di conoscenza essenziale per diffondere le migliori pratiche in tutto il territorio nazionale, per risparmiare risorse e per aumentare la produttività del settore pubblico. Isolarsi da questo processo è una scelta che fa comodo solo a chi ha interesse a nascondere sprechi e inefficienze”.

“La richiesta di partecipare alla stima dei costi standard porta con sè l’intenzione di un conseguente adeguamento delle pratiche amministrative ai risultati; questo mi trova d’accordo, con opportuni correttivi, solo se parliamo di gestione della sanità; mi trova molto meno d’accordo se parliamo di appalti pubblici ad aziende private per prestazioni, servizi e merci.

Assumere oggi in Sardegna il criterio del costo standard come modus di amministrazione della spesa pubblica significa scegliere di ignorare che le imprese sarde abbiano uno svantaggio oggettivo di partenza dovuto al maggior costo dell’energia e del trasporto, fattori che a valle di queste considerazioni possono facilmente portarci a essere valutati come poco virtuosi rispetto a regioni che non partono con questi handicap. A fronte di queste differenze, le cosiddette buone pratiche rischiano di risolversi in dumping.

Se un comune dovesse fare una gara d’appalto applicando il criterio del costo standard stabilito con il concorso dei dati di economie regionali meno strutturalmente svantaggiate della nostra, è altamente probabile che nessuna azienda sarda allo stato attuale potrebbe mai vincerla.

Don Milani ci ha insegnato che non è giustizia fare parti uguali tra disuguali; per questo le politiche economiche che stiamo mettendo a punto in Sardegna Possibile hanno come obiettivo primario la riduzione dello svantaggio, ottenibile solo con una pianificazione energetica che punti ad abbattere drasticamente i costi di produzione e di un piano trasporti che permetta di incidere in modo significativo sulle cause di quel gap iniziale. Prospettare come pubblica amministrazione l’adeguamento standard dei costi finali senza aver prima applicato tutte le possibili politiche contro gli svantaggi iniziali è come chiedere alle aziende sarde di partecipare a una corsa campestre partendo da venti metri indietro agli altri e con un piede rotto.

Michela Murgia

http://sardegnapossibile.com/due-risposte-francesco-pigliaru/

 http://francescopigliaru.blogspot.it/

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