Latella con un duplice atto creativo rottama la statuina tradizionale di Eduardo e lo immette nel circuito dei grandi classici del ‘900, sottolineandone la dolorosa modernità con il palcoscenico nudo alla Kantor e l’attitudine alla metamorfosi kafkiana.
In funambolico equilibrio tra filologico rispetto del testo ed enfasi interpretativa, il Regista ha scosso il pubblico dell’Argentina con infinite sfumature di violenza e tenerezza.
Quel che da subito colpisce è la sottomissione maniacale al Testo, evocato fin nelle virgole e negli accenti, sottolineati in modo surreale dalla gestualità attoriale della compagnia tutta, impegnata a mimare istericamente financo l’atto della scrittura.
A questo rigore fa da contraltare un approfondimento emotivo che libera la rappresentazione da qualsiasi dipendenza eduardiana per lasciar spazio ad un’ esperienza immaginativa personalissima.
Sotto una stella fuori misura, da spettacolo hollywooddiano, a testimoniare il lato glamour-commerciale di una festa consumata nella sua esteriorità da impietriti personaggi contratti in forma di natura morta, i Cupiello, caleidoscopica campionatura di umanità inquieta e insoddisfatta, come in un graphic design, animati dal gioco drammatico di luci e ombre, in una dimensione spazio- temporale surreale, gravitano attorno a Concetta ( l’intensa Monica Piseddu) partenopea madre coraggio, colta muta nel quotidiano epico sforzo di trainare, con l’invincibile forza della pazienza, il carro familiare.
L’ isterica sarabanda natalizia con gli animali di pezza, teneri e mostruosi ad un tempo, elementi incongrui di consumismo a celare il dramma del rito natalizio nella sua abbondanza fittizia, prelude all’atto finale ove, in risalto plastico, Luca (uno straordinario Francesco Manetti ) spogliatosi dell’inutile autorità genitoriale, fattosi lui stesso bambinello nudo ed inerme, tra le braccia di una Mater dolorosa, nella mangiatoia tra asino e bue, strapperà l’approvazione fuori tempo di Tommasino, l’eclettico Nino Musella.