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Francesco Abate, antiproustiano di successo

2016/07/12 - Attualità, Letteratura di: MG Colombo
Francesco Abate, antiproustiano di successo

Pur senza raggiungere gli epici vertici di una Medea, la sig Mirella ci mette del suo ad inserirsi in un filone educativo fieramente ignaro dei dettami del dott Benjamin Spock e guadagnarsi velocemente una quarta ristampa di Mia madre e altre catastrofi, ove onnisciente la fa da padrona ( anche con luterana spartizione dei diritti d’autore).

Chi conosce i precedenti libri di Francesco Abate sa dell’insopprimibile humor che serpeggia persino dove si narra di dolorose tematiche, incentrate su malattia e diversità, ma qui si scopre un’esilarante vena narrativa capace di lunga tenuta e in grado di scardinare tutto il politically correct sull’amore materno.

Figlio di cotanta madre, con inarrestabile dialettica, declinata in dialoghi scabri e persino urticanti, Abate mette in scena un giocoso amarcord con al centro la luciferina signora sua madre, misto esplosivo di formazione cattolica in salsa maoista, con cromosomi più da squalo che da figlia di colonnello dei carabinieri (che già sarebbe bastato).

Laddove il piccolo Marcel si consumava d’ansia a Combray nell’attesa del bacio della buonanotte di un’algida madre high society, Checco e i suoi fratelli hanno un bel daffare ad evitare pizzicotti con la girata e saettanti battipanni, icona eloquente di un’educazione ferrea e di un’assai sobria infanzia, ritmata da rosette con margarina e zucchero e da un loop di stringate contraddittorie regole, persino sconfessate e/o addirittura fomentatrici di pratiche poco civiche (vedi gara di sputi sulle lenzuola del condominio).

La forza del libro sta nel grado di irriverente spontaneità senza filtri con cui Abate da vita e sostanza ad un irresistibile memoir di antiproustiana ruvida tenerezza, che non risparmia tremende stoccate all’energica signora, femminista della prima ora, mix di solida determinazione imposta dai tempi e dalle vicende personali e adolescenziale anticonformista leggerezza.

Eppure chiudendo il libro si ha l’impressione di capire meglio il concetto di “adorazione perpetua” di cui parlava Roland Barthes a proposito dell’amore filiale.

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