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La scomparsa di mia madre – Beniamino Barrese

2020/02/17 - Attualità, Biblioteche, Cinema, ExtraDoc- Film Festival- Maxxi di: MG Colombo
La scomparsa di mia madre – Beniamino Barrese
In sostanziale giocoso sodalizio, Beniamino Barrese figlio, Benedetta Barzini madre, nella performance La scomparsa di mia madre, che ha aperto la stagione del docfilm 2020, al MAXXI, declinano le conflittualità e le complicità di cui banalmente è intessuta qualsiasi relazione filiale con qualche malinconia, molte tensioni, rarissime tregue.
Quel che differenzia la vicenda è il peso (non corporeo) della protagonista.
Il doc, a beneficio di chi per età anagrafica, colpevole disinformazione, tracotante fanculaggine non sapesse nulla di Benedetta Barzini, inizia con immagini di surreale bellezza, quando, già top model, al servizio di involucri di lusso, tanto sfrenato quanto di improbabile portabilità, spadroneggiava sulle passerelle dell’alta moda.
Discendente del più formidabile connubio di capitale e cultura ( Comit-Feltrinelli-Barzini) dei ’60 italiani, catapultata, racconta, casualmente e a sua insaputa, a New York , divenne da subito musa di Irving Penn, Richard Avedon, Andy Warhol, Salvador Dalì, amica, tanto per dire, dei Kennedy, impersonando insomma le più esclusive linee di tendenza del jetset di allora.
Quale salto mentale la abbia spinta alla contestazione di ruolo e di status ( per fortuna senza le conseguenze estreme cui andò incontro il fratellastro Gian Giacomo) e ad abbracciare anche la causa del femminismo, non certo come emancipazione, ma come protesta per il furto della sua immagine, non è ben chiaro e genera, diciamolo, impaziente insofferenza nelle platee dei festival internazionali che ospitano il film.
Erede di una madre anaffettiva ( così lei la racconta su patinate riviste di moda, memori del suo passato di top model), da icona exotic mediterranean si trasforma in mother mediterranean con cura precipua della prole, abbandono del lavoro, perdita di status, anche scatenando nel minore dei suoi figli una sorta di ossessione per l’immagine della madre.
Si potrebbe obiettare, con ingenerosità tutta femminile, che avvelena il concetto di sorellanza, che con minori margini di scelta finanziaria, ambientale e, certo si, temperamentale, è quanto tocca a milioni di donne con più ordinari moventi autobiografici
Desiderosa di (s)comparire, di sottrarre la sua corporeità a beneficio del suo mondo interiore , si presenta nel filmato con chiome incolte, ostentata sciatteria domestica, qualche concessione a look hippy d’annata, all’interno di un magazzino, di buon indirizzo meneghino ma di soffocante accumulo di ricordi.
Dopo iniziali schermaglie, volte a difendere scelte originali persino per il suo mondo di estrazione, cede alle richieste del figlio filmaker, inascoltato sul piano delle faccende domestiche, dei controlli sanitari e, sul popolaresco principio che “E figl so‘ piezz‘ ‘e còre”, gli concede le riprese fin dentro il bagno.
Va detto, svelando una fisicità, che, pur segnata da anoressia, discutibile igiene, provocatoria sciatteria, ineluttabilli segni del tempo, la Ribelle alla predominanza della forma sulla sostanza, può sfoderare in totemico glamour.
Detto ciò, gran rispetto quando intervistata su Vanity Fair*, dichiara:
“A me non interessa la bellezza, mi interessa chi sei. Mi interessa l’autenticità, come parli, che fai nella vita, non mi interessano le tue sembianze. E oltretutto, semmai, sono molto più attratta dal tuo difetto che è molto più bello del bello. Se tu pensi a quello che è ritenuto bello in una donna, è noiosissimo: la totale simmetria, il sorriso, il naso dritto, la pelle perfetta. Invece il vivo contiene in sé il bello e brutto: ecco quello è interessante”.
Piena condivisione quando su HuffPost* si schiera contro :
“… la presunzione che la razza bianca sia l’unica pensante, la più evoluta, quella che ha il diritto di massacrare gli africani, prendersi le miniere di diamanti. Questa roba qua non la reggo più”.
Manco noi nel nostro piccolo.
Benedetta Barzini, ti crediamo ma rimaniamo assai perplesse rispetto all’inciampo nel mezzo utilizzato per il raggiungimento dell’agognata (s)comparsa sotto altri cieli, presumibilmente meno mediatici della London Fashion Week .
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*Vanity Fair, Silvia Nucini 28/09/ 
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