Si fa presto a dire Normal.
Titolo easy e robusto per la narrazione affollata di giovani, vecchi, cosìcosì, di Adele Tulli, testimonial di storie di ordinaria normalità, in cui, per un verso o per l’altro, tocca specchiarsi per avviare una civile salutare presa di coscienza attorno al lemma gender.
Con puntiglioso rigore e tono mai derisorio o censorio, in apparente astensione di giudizio, il doc indaga sulla forma mentis di un mondo globalizzato, apparentemente scandito dal progresso tecnologico, dall’esistenza ritualizzata maniacalmente metodica di mode culturali liberaleggianti, lontane dallo scalfire vetusti luoghi comuni attorno al concetto di identità sessuale, ancora vista come un dato biologico naturale e non come una impostazione culturale e sociale.
La mise en page del pensiero di Tulli non esula mai da toni strettamente documentali.
Fosse quando indugia sul volto emozionato della bambina, che inizia il percorso della sua seduttività facendosi forare l’orecchio, subito controbilanciato dalla valanga di ferri da stiro, prontamente prodotti da un attento mercato del giocattolo a frenare temute emancipazioni.
Intanto un solerte papà avvia il suo piccolo al gioco della minimoto, cioè al mito del macho tutto forza, velocità, seduttività, giochi all’aperto, amplificato da giochi di consolle, ufficializzato da addestramento al reparto Folgore, intervallato da prove di gallismo d’antan in pubblici ritrovi e assembramenti non ancora proibiti.
Ecco il trash dell’addio al nubilato, falsamente modernista, esteso nella sua insulsa volgarità ad entrambi i coniugi.
E poi i riti collettivi di tristi spiagge, il fitness come esaltazione dell’apparenza, la retorica stanca del prete alle coppie, l’ideologia passatista della venditrice di abiti da sposa.
L’isteria adolescenziale tutta femminile per Antony, maschio alfa ( !!) canterino, l’assillo in giovanissima età per le cure estetiche omologanti.
Le interviste alle aspiranti miss Mondo, tutte universitarie ehhh, sognando Aviano,con aspirazioni a lavori di alta professionalità ma, per ora, parlanti solo col lato B.
Che dire della parodia di matrimonio omosessuale teatralizzato nella scelta del luogo e più ancora degli atteggiamenti; dell’imitazione dei gesti d’amore di una finta coppia a beneficio del solerte fotografo che non cessa di elogiare l’attore….mentre l’attrice è inerte manichino.
E vabbè, ecco come ti costruisco il genere, ” bravo Diego! “.
Insomma, lei, Adele Tulli, suggerisce una navigazione leggera tra le paranoie consolidate di Scilla e le liberalizzazioni manovrate dal mercato globalizzante di una Cariddi laicista.
Senza parere (troppo), con scansione più concettuale che visiva, la lunga scena iniziale e finale dedicata alle giovani mamme, sembra scegliere, sul fronte dell’educazione civile per le nuove generazioni, la platea più competente e responsabile che ci sia.
Purchè non distratta da troppo fitness
Il film è in concorso a Extra DOC Festival, in corso a Cinema al MAXXI a cura di Mario Sesti.