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Dario Levantino, la mitopoiesi è servita tra cuori secchi e cuori bomba.

2020/06/22 - Biblioteche, Letteratura, Premio Biblioteche di Roma 2018 di: MG Colombo
Dario Levantino, la mitopoiesi è servita tra cuori secchi e cuori bomba.

I confini esistono solo tra le cose brutte.
Fra le cose belle esistono soltanto sfumature.

Dario Levantino

Dario Levantino nei suoi romanzi Di niente e di nessuno ( recentemente tradotto e pubblicato in Francia) e Cuore Bomba,  narrando le vicende di Rosario, adolescente siciliano, compie un’ardita sintesi tra epica omerica ed epica quotidiana della realtà degradata di Brancaccio,  quartiere di Palermo, aborto urbano, geograficamente lontano dalla peraltro inesistente Regalpetra di Sciascia, ma pur sempre terra di povera gente, come si diceva una volta parlando di proletariato azzannato da miseria, mancanza di Stato, infiltrazione di mafie, declinazione familiare dell’eterno fascismo italiano.

Il quindicenne Rosario, Saruzzo come si impara a chiamarlo affettuosamente nel corso della narrazione, entra con forza a far parte degli adolescenti che, al di là della cerchia dei letterati, si conquistano il favore del pubblico ed eternizzano il momento gioioso/gravoso della crescita, tra tenerezza e violenza, assunzione di responsabilità e incertezza di orizzonti, aspirazioni e frustrazioni.
Puoi nascere figlio di console e grossista di grano e chiamarti Tonio Kröger, essere re e stella del cielo su un’isola mediterranea come Arturo di Elsa Morante, passeggiare nella Dublino di Joyce con Stephen o per Central Park con il giovane Holden o, ancora e per venire a noi, essere come Rosario, figlio di detenuto, madre anoressica, e vivere, tra mille difficoltà, a Brancaccio: qualsiasi sia  la latitudine geografica o sociale che ti ha riservato la sorte, sempre hai da fare i conti con i padri.

” I padri, i figli, li hanno sempre odiati.”
Così, senza girarci troppo attorno, lapidario si esprime Rosario in apertura di Cuore Bomba, forte, purtroppo, di tristi esperienze personali e di quei miti che, bypassando la filosofia platonica e poi cristiana, vivono di puro spirito socratico e, molto alla maniera di Jean Fabre in Monte Olympus, grondano lacrime e sangue, ispirano coraggio e vendetta, filtrati e attualizzati in tagliente efficace dialetto.
Una delle battute più carismatiche del testo è Nun ti scantari, davanti alla  violenza del mondo e persino dei padri, davanti alla malattia, alla galera, ai servizi sociali, allo Stato assente e/o ostile..

“C’ho una storia assurda, io.”
Spiattella Rosario, con i suoi eroi mitici che hanno sperimentato la “sindrome di Crono” prima che qualcuno, molto tempo dopo, la chiamasse così, e sa, per certo, non senza adolescienziale sfrontatezza, che, tanto per dire, le urla di Crono per salvarsi dalla furia infanticida del padre,  arrrivavano fino a Tebe e …. a New York ( sic! La mitopoiesi è servita.)

La lezione del mito è pervasiva di tutto il mondo dei valori del protagonista, permeato di virgiliana pietas e visionaria cura di Battiato, verso il se stesso calpestato, un pò meno di Rosso Malpelo, sparite le zolfatare, ma comunque sfruttato quanto basta, all’ombra delle nuove centrali dello sfruttamento del lavoro minorile.
Pietas/Cura verso la madre malata, senza autonomia economica, della difesa della quale si fa totalmente carico con più decisionismo di David Copperfield, con vigile tenerezza non aliena da confusi contrastanti sentimenti edipici, come il borghesissimo Agostino di Moravia, rispetto ai quale però non ha troppo tempo di interrogarsi, incalzato dalla disastrosa condizione familiare.

Col talento dello sceneggiatore e una scrittura ritmica che rieccheggia il parlato, Dario Levantino, in leggerezza e sostanza, fa riflettere su società e individuo, offre a chi legge un posto in prima fila sulla realtà delle periferie tra mare e mafia, tra Omero e Battiato, tra greci e picciotti,

ndr. Dall’incontro con l’Autore, avvenuto il 20/ 06/2020  su piattaforma ZOOM.

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