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Almarina – Valeria Parrella

2020/04/11 - Letteratura, Premio Strega 2020 di: MG Colombo
Almarina – Valeria Parrella

” C’è chi diventa grande per uno schiaffo, chi per una carezza”
V.Parrella

Maestra di concisione, Valeria Parrella, in poco più di 130 pagine avvia una riflessione a 360° sulla protagonista del suo ultimo libro, Elisabetta Maiorano, donna stanca, in pieno hangover, segnata da grandi dolori, tuttavia capace di correggere vita e caffè con la sambuca.
Inguaribilmente affetta dal morbo dell’umanità, in gramsciana resilienza sul motto:
Mi sono convinto che, anche quando tutto è o appare perduto, bisogna rimettersi all’opera”.

La (in)segue nella esperienza quotidiana dell’invecchiare, che inesorabilmente restringe il campo delle occasioni di realizzazione personale, ne mette in forse l’autostima ( ti arrendi ad essere un po meno di quel che sei ) accentua la difficoltà di confrontarsi con lo sguardo degli altri, di reiterata indifferenza quando non di scherno, per il persistere di quella cultura patriarcale per la quale solo la maternità può conferire alla donna una dimensione di positività e accettabilità sociale.

Scrittrice colta e raffinata investe la sua protagonista della consapevolezza dei meccanismi culturali che portano una donna ad autoimporsi la castità a dispetto del suo potenziale biologico, rieccheggiando la Simone de Beauvoir de La terza età.
Le dona la tendenza a percepire sempre l’altro come un essere umano, a scardinare l’allenamento borghese di non guardare chi vive in una condizione diversa dalla tua, a perseguire l’umanizzazione della vita, in linea con la forza del messaggio di Primo Levi.
La permea della convinzione di Henry James, per il quale già “ il solo atto di prestare attenzione a qualcuno ci fa condividere la sua storia”..
Questo succede con Almarina, sedicenne abusata, protagonista di avventurosa fuga dal degrado, che crede che le potrò dare il senso di cui ha bisogno. Nella cura della quale trova il modo di arrivare junghianamente  “ad essere quello che è”, a  spezzare la solitudine esistenziale in cui si trova, a chiudere conti in sospeso, a ritrovare  il piacere di trasmettere alla generazione successiva teoremi matematici, accorgimenti di discreta seduzione, umili nozioni pratiche come dipingere le unghie, accordare i colori, essere la meno cessa, progettare viaggi a Parigi a Bucarest, accarezzare l’Europa.
Essere donne in divenire contro la rotta dei Balcani, l’annientamento dell’individuo , le sperequazioni sociali , la latitanza delle istituzioni, la burocrazia paralizzante.

Parrella sembra confermare l’impressione che solo certi nativi abbiano la capacità di raccontare Napoli regale e stracciona, motivo sufficiente per alzarsi la mattina, con l’avvincente essenzialità, l’aggrovigliata sussultante specificità, lo spirito di accoglienza, la torva lotta per la sopravvivenza intessuta di mo, vabbuò, tengo da..
Dietro l’umanissima riflessione di Eduardo de Le voci di dentro a ricordarci che siamo tutti vittime travolti dall’indifferenza, nell’oscurità della perdita dei valori divenuta triste normalità.

Centro del racconto il carcere minorile di Nisida, che ti costringe a guardarti dentro, dove, come avrebbe detto la Ortese, i muri si lamentano.
Là, la protagonista insegna riconoscendone l’efficienza organizzativa e formativa, ma anche tutta la insopprimibile distopica ritualità che si riversa su ospiti e operatori, innnescando disarmanti interrogativi sulla pena e la colpa, sulla disumanizzazione del vivere associato, all’ombra di violenze familiari ( i padri mi fanno paura).
Questa Italia mi fa paura
, con lo Stato, ostaggio e perversa creatura della nutrita razza dei premesopotamici, assente e/o inadeguato, quando non malavitoso, che rimanda, nella sua cruda essenzialità ( e fatta salva la nazionalità), alla battuta
“Senti, fratello, io sono il cazzo del governo indiano e il mio compito è fottere la gente” .
cit Il ministero della suprema felicità – Arundhati Roy

La fa spiccia con il mondo degli adolescenti: ” Li odio. Perchè ho il triplo dei loro anni, chissà dove imparano così presto il sarcasmo)
Con capacità immersiva ne tratteggia l’insopportabile strafottente indifferenza, ne coglie la postura della cattività, con malinconia vede lo sprechio delle potenzialità, le fragilità che li riprecipiteranno negli abissi da cui la pena li ha sottratti ( torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui).

Ne riporta i miti farlocchi, differenziati a seconda del sesso, il rapporto contraddittorio e per lo più irrisolto con la Scuola della quale, come insegnante, vive la frustrazione di essere inutile, ma come cittadina riconosce l’insostituibile funzione: là dove ci sono le parole non ci sono coltelli. 

L’attimo tra il sorgere di un pensiero e il suo perdersi dietro a un ricordo, un’emozione, uno sguardo, un gesto, una camminata, mostrandone tutta la fragilità, è colto con semplicità poetica, con una prosa che pare affidata ad una camera a spalla, tesa con andamento sussultorio ad alternare fuoco a schiaffo sui soggetti, a panoramiche filate sui contesti ambientali, sfumandoli a sorpresa su note introspettive, memorie autobiografiche, richiami all’attualità, che il dichiarato impegno politico della scrittrice certo non elude, declinandolo in un flusso narrativo di grande efficacia.

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