Menu

Franco Mannoni e la strategia dell’asfodelo.

2019/07/30 - Attualità, Biblioteche, Blog, Letteratura di: MG Colombo
Franco Mannoni e la strategia dell’asfodelo.

Ospite di aspri assolati terreni carsici, “ miracolo di una natura che si rinnova e si riproduce in uno strato sottile di terra disteso sulle dure trachiti “, orgogliosamente eretto sul lungo flessibile stelo, superbo nella sua biodiversità, resistente a qualsivoglia  vento e financo a fuochi sospetti, di ascetica bellezza nell’opulenta fioritura, esteticamente rilevante dell’unico fiore, nutrimento di api operosamente raffinate, l’asfodelo si propone come icona di convivenza, endemica adattabilità, generosità con la circostante società pastorale cui offre il germoglio, gustoso come l’asparago, la corteccia essiccata atta ad intrecciare cestini, abilitati ai più svariati usi.

Allegoricissimo asfodelo, portatore di quella speciale e poco esplorata intelligenza vegetale di cui parlavano, pur inascoltati, già Platone Democrito Linneo Darwin ed oggi, con forza dettata dalle ben note emergenze planetarie, Stefano Mancuso nel suo La nazione delle piante.
Ispiratore di miti, da Omero alla Rowling, che suggerisce al suo Harry Potter di aggiungere proprio semi di Asfodelo ad un infuso di Artemisia, per ottenere una pozione di sicuro effetto soporifero, fornisce un forte imprinting all’Autore, nell’incipit del libro Il campo degli asfodeli – Arkadia ed. , con il suo abbagliante apparire, ai piedi di un maestoso quanto enigmatico Gennargentu.

Anche Franco Mannoni si ferma e si forma in un aspro ambiente di modesti stimoli culturali, imposti dall’isolamento geografico, dalle perenni emergenze economiche, dalle sperequazioni sociali, favorite da politiche di rapina perpetrate nei millenni sull’Isola, in un drammatico déjà-vu.
Ma è proprio in questa nicchia deprivata che l’Autore matura la capacità di corteggiare l’imprevisto con lungimirante intelligenza, coltiva caratteristiche di orgogliosa tenacia, robusta ambizione, insofferenza alla subalternità, resilienza, e sa costruirsi e utilizzare una formazione intellettuale di tutto rispetto.

Il libro si svolge in una scala temporale che parte dal 1965, quando, a bordo di bianca Fiat Cinquecento, emblema mainstream di un’evoluta Alghero, quasi faro di modernismo nella circostante immobilità regionale, il protagonista venticinquenne, con più dubbi che certezze, fa il suo esordio professionale, come impiegato ministeriale, nell’ufficio Scolastico Provinciale di Nuoro, e avvia la parabola professionale e politica che lo condurrà al raggiungimento di incarichi di primissimo piano nel governo della Regione Sarda e alla relativa gestione di spinosissime questioni, dribblando i numerosi condizionamenti, frenanti l’inderogabile sviluppo regionale da coniugare con la protezione ambientale.

In questo autobiografico dietro le quinte, con vivace forza testimoniale, Franco Mannoni ricorda tutte le gigantesche gatte da pelare che come Provveditore affrontò in un momento di cruciale trasformazione della Scuola, aperta ai Decreti Delegati, aggravata dalla patologica propensione all’ingovernabilità di fondo e alla sordità burocratica, cosi ben descritta ne La scuola nemica da Albino Bernardini, e nel Diario di una maestrina di Maria Giacobbe, e altrettanto faticosamente contrastata dalle nuove leve di maestri sessattottini e da qualche raro illuminato dirigente in gonnella.

Con logica argomentativa e potenziale critico ricorda la sua complessa esperienza di Assessore Regionale all’Ambiente e poi alla Programmazione, indaga il processo di industrializzazione, su cui si puntarono speranze disattese, e che avvenne senza gradualità, succube di logiche di massimizzazione dei profitti a tutto danno dell’ambiente, della formazione professionale, secondo modalità così lontane dal pensiero di impresa responsabile di un Luciano Gallino, determinando il cortocircuito del consenso popolare e la conseguente fase decadente e contundente di un’intera classe politica.

Con naturalezza comunicativa, Franco Mannoni si fa giudice di sé, del senso delle proprie scelte e di quelle del mondo circostante, resetta dal sua privilegiato punto di osservazione un periodo storico di formidabili cambiamenti culturali e di costume, che vide l’introduzione del Diritto di famiglia nel 1975, la 194, il divorzio, per la cui affermazione si mobilitò in prima persona, nel vivido ricordo delle manifestazioni che si tennero per le strade di Nuoro.
Senza tralasciare, anzi evidenziando, come tale magmatica modernità travolgesse, senza innovarli, periferici provincialismi, risultasse incomprensibile, anzi indecifrabile alla cultura agropastorale, creasse, nel suo colpevole identificare la modernità con il solo profitto, equivoci di riferimento, come nel clamoroso caso di Mesina, elevato dalla vulgata popolare a vendicatore di soprusi ed eroe da rotocalco.

Franco acchiappa il tempo per la coda e immerge la sua vicenda umana in un flusso narrativo di bella sostanziosa tradizione, di linguaggio colto, di prosa brillante senza ammoine, debitrice di un tempo in cui la consecutio temporum aveva un suo perchè.

Pur non prescindendo dal ricordare gli obiettivi centrati (come quello per il Sulcis, per l’occupazione giovanile, per la salvaguardia ambientale) per la gioia e/o la contestazione dei cultori della materia, si tiene lontano da una memoria difensiva della Prima Repubblica formato Sardegna, e ricostruisce minuziosamente
, con tanto di nomi e cognomi, il quadro economico e politico del nostro passato prossimo, all’interno del quale maturarono fatti e spesso misfatti, che hanno prodotto fabbriche di illusioni condizionanti negativamente lo sviluppo della Sardegna.

Essere riformista nel ’68 non era facile persino a Nuoro, in un humus di nobili quanto rigide norme socioculturali, ispirate a codici apparentemente immutabili, ma scossi dal vento sessantottino, che cominciava a soffiare dal Continente anche in Sardegna, per mille vie, grazie agli entusiasmi di ragazze come Chiara, protagonista privilegiata di serrati confronti dialettici, ai maestri corpo speciale di didattica militante, ai sindacalisti, e, al febbrile attivismo da tabloid di Feltrinelli. Senza contare l’effetto dirompente di scelte discutibilissime come la trasformazione di Badu ‘e carros in carcere di massima sicurezza, che alimentarono correnti eversive su cui l’Autore si sofferma e riflette.

Si infilava persino, quel vento, nei corridoi del Provveditorato di Nuoro, sotto lo sguardo penetrante dell’allora impiegato Mannoni, e lo sconcerto, dichiarato a chiare lettere e con coloriti anatemi, da una serie di personaggi photoshòppati con essenziale vivacità descrittiva e qualche malizia letteraria, sia che l’Autore colga il capo usciere Cosseddu nella sua claudicante andatura ma fondamentale attività di smistamento posta, o si soffermi sul lato più rabelaisiano e gaudente di Craxi ante Midas, in visita in Barbagia con puntatina d’obbligo all’Ortobene, già paradiso culinar/ecologico, e ( per non farsi mancare nulla) passaggio veloce nella cucina di Teresa, solerte Penelope di mitologica pazienza, versata in caratteristiche contabili da far impallidire euroesperti e antesignana di oculato fiscal compact familiare.

Set di buona parte del racconto, Nuoro. Ad un tempo Atene e Gomorra, gomitolo di contraddizioni irrisolte, al centro di quell’età efficacemente etichettata del malessere da Peppino Fiori, resa popolarissima dal cinema di Lizzani, e da reportages che, nel dar conto della specificità regionale tra smeraldizzazione in corso e criminalità montante, spesso alimentarono un’epopea ambigua del banditismo a cui si accreditavano discutibili eroismi come rivalsa a secoli di sfruttamento e ingiustizie sociali, altrettanto farlocchi quanto la lombrosiana retorica della propensione a delinquere di un’intera popolazione.

Nell’immaginario tabellone del gioco dell’oca che virtualmente segna il percorso di successi e battute di arresto, opportunità e contingenze sfavorevoli, cui, in quel lontano mattino di Aprile del ’65, Franco Mannoni si apprestava a giocare la sua partita, l’allegoricissimo campo di asfodeli sta, pittoresco punto di partenza, nella prima casella, e torna nelle considerazioni finali dell’Autore come immagine emblematica di un percorso in cui tutto stava per accadere.

  •  
  •  
  •  
  •  

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *