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Il Bel Viaggio – Franco Mannoni

2021/04/24 - Attualità, Letteratura di: MG Colombo
Il Bel Viaggio – Franco Mannoni

Con la luminosa levigata rotondità di un libro, che non è mai quella dell’esistenza, Mannoni con Il bel viaggio offre un meticoloso  grandangolo sugli ambienti e l’epoca che ha frequentato con coinvolgimento pieno e straordinaria capacità di osservazione, curiosità a volte divertita a volte malinconica, mai splenetica, rilevandone caratteristiche, impressioni, echi, che, nel flusso di memoria, intreccia e sovrappone con il sereno distacco e l’atteggiamento pacificato di chi navigando ha incontrato e superato personali Scilla e Cariddi, sirene e mostri,
Ciò che nel reale era stato di inciampo al narratore e ai suoi contemporanei, per dire la guerra, il non meno drammatico dopoguerra, la fatica del lavoro, la mancanza di risorse, la ristrettezza culturale, ed oggi le regole di mercato, l’incuria verso il passato, il degrado dei centri storici, il dissennato abuso del territorio…  scivola nella narrazione di disinvolta tradizione classica, gli obbedisce avvalendosi dell’accuratezza dello stile, del fraseggio fluente, dell’aggettivazione minuziosa, e della conoscenza non banale del mondo che rappresenta.

Affacciarsi tra i mille abitanti di Cheremule/1942  è come entrare in un quadro fiammingo, tra i fumi dei bracieri, il latte che quaglia, la ripetitività della fatica giornaliera, avara di soddisfazioni, regolata dal ritmo delle stagioni, in coesistenza di animali e persone, di omerica memoria, tanto, involontariamente e inconsapevolmente, green alla Walt Whitman.
Aggirarsi per il centro storico di Castello con l’Autore, suo malgrado in veste di colto flâneur, ottocentesco quanto basta, significa evocare storie di rapine e soprusi inscritti nelle architetture, imbattersi nell’austera tragica figura di Sigismondo Arquer, nel colto linguista Andrés Febrés, bypassando il sottofondo sgradevole del ciabattare di turisti alla famelica ricerca di sensazioni preconfezionate da portarsi a casa.

Instancabile osservatore, con i sensi sempre all’erta, il narratore/protagonista scorge ogni macchia di umido, coglie gli scricchiolii di scale e il fruscio di canne, annusa profumi ed olezzi, accoglie nella pagina la seduzione paesaggistica della Sardegna, la mitologica bellezza dell’Attica, il fascino del mare “conosciuto come la strada di casa, e ignoto come potenza e mistero”  popolato da minuscoli pesci o leggendari improbabili mostri, alimentati dalla grande letteratura, evocati da egghje attorno al braciere.

Dal microcosmo degli umidi tuguri sardi al comfort esagerato del cinquantesimo piano di una New York  pre undici settembre, IL bel viaggio si aggira tra secche meridionalistiche e asettiche regole di profitto dettate dalla globalizzazione, evidenziando situazioni esistenziali e storiche egualmente segnate dallo stigma della fatica del lavoro del contadino Domenico come del  ryder Massimo, a Cagliari come ad Alma-Ata.

Il sole sorge uguale con la sua forza vivificante a S’Oltu ‘e nanti come a Manhattan, a piazza Yenne come a Times Square, e il mare ha il medesimo fascino e forza, quello delle Cicladi del mito, popolato di sirene come quello delle Bocche più modestamente brulicante di Connari, sicuro segnale di cambio del tempo per gli abitanti costieri, allora felicemente (??!) ignari dell’anticiclone delle Azzorre (come con sornione humor osserva Mannoni).

Il Viaggio diventa metafora di conoscenza, inesausta curiosità, quando porta verso mete esotiche, ma anche quando immobile con il solo  sguardo voglioso, al bar, naviga  attorno ad un tavolino davanti alla costosa regalità di una cassata, attorno a cui, in un serrato gioco di non detto e di sguardi, emerge un delicato rapporto padre/figlio.

E ancora il Viaggio può compiersi attorno ad un tavolo di cucina, dove mani esperte impastano e perpetuano la grande tradizione gastronomica declinata nel quotidiano famigliare delle feste contro la abituale frugalità, avvalendosi di utensili oggi scomparsi, la cui evocativa descrizione porta dritto a Georges Perec.

E poi ci sono gli amori così abissalmente lontani dal tempo di TikTok, più vagheggiati che praticati, complicati da veti epocali e rigidità parentali e, al caso, in Verso Itaca, anche da qualche marito di troppo.
Dettati da perdurante diabolica idea petrarchesca dell’amore, in fase di dismissione ad opera proprio di quelle giovani donne, ad un tempo intuitive e seduttive, per sempre ragazze dentro il cerchio magico della memoria e della loro inesausta vitalità.

Poche le donne presenti nei racconti, tutte, al di là dell’apparente emarginazione, nel segno dell’empowering che vince sul loro essere relegate nello spazio obbligato di fumose cucine, o vecchi salotti di paese come Maestra Ottavia, silenziose imprescindibili dispensatrici di affetto autostima e futuro, come la Madre de Il Quartiere, e persino, in trasandato abbruttimento, come la egghja agghjana Mimmina de La Chimera, dalla cui brusca  fattualità dipendono le precarie sorti materiali della famiglia.

I diciannove racconti in modulato story-telling, tanto diversi per fattura e struttura, nel loro disordinato assemblaggio temporale e alterno tasso umorale, mantengono una precisa sotterranea unità, non omogenea ma frammentaria, in sostanziale accordo a ben guardare con il ritmo volubile e casuale della vita stessa.
La loro chiave è nel piacere del narrare l’appartenenza ad una comunità, la gioia di vivere i mattini d’estate, la capacità di rapportarsi alla Natura, all’Arte, alla Musica ( con omaggio letterario a Fresu), il piacere di riconoscersi nei miti della propria civiltà e tramandarli in andamento lento e meditativo come da poetico suggerimento di Kostantinos Kavafis.

Autore: Franco Mannoni
Editore: Arkadia
Collana: Eclypse
Anno edizione: 2021
In commercio dal: 25 marzo 2021
Pagine: 168 p., Brossura

 

 

 

 

 

 

 

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